Il curioso modo di dire identifica una soluzione drastica, alla quale ricorriamo per liberarci del fastidio una volta per tutte e proviene dal Medioevo.

La storia da cui scaturisce il detto si ambienta a Venezia nella seconda metΓ  del XII secolo. Nel 1162 π™π™‘π™§π™žπ™˜π™€ π™™π™ž π™π™§π™šπ™«π™šπ™£, patriarca di Aquileia, decise di prendere possesso la cittΓ  di Grado, che il doge veneziano π™€π™£π™§π™žπ™˜π™€ π˜Ώπ™–π™£π™™π™€π™‘π™€ governava per la Serenissima.

Ulrico, esponente di una nobile famiglia bavarese, aveva ottenuto l’investitura solo un anno prima grazie a π™π™šπ™™π™šπ™§π™žπ™˜π™€ π˜½π™–π™§π™—π™–π™§π™€π™¨π™¨π™–, che in cambio pretese da lui l’appoggio allβ€™π™–π™£π™©π™žπ™₯𝙖π™₯𝙖 π™‘π™žπ™©π™©π™€π™§π™š 𝙄𝙑. Il patriarca tedesco era quindi sensibile alle esigenze del Sacro Romano Impero e il suo interesse per la cittΓ  di Grado era dovuto alle fiorenti saline che, insieme a quelle di Chioggia, Pirano e Ravenna, costituivano invece una fonte di reddito primaria per l’economia della Repubblica di Venezia e un valido antagonista al commercio del sale dello Stato Pontificio, che con le produzioni di Comacchio e Cervia riforniva tutto l’entroterra padano attraverso il corso del Po.

L’attacco del vescovo di Aquileia costrinse alla fuga Enrico Dandolo, che riparΓ² a Venezia sotto la protezione del π™™π™€π™œπ™š π™‘π™žπ™©π™–π™‘π™š 𝙄𝙄 π™ˆπ™žπ™˜π™π™žπ™šπ™‘, ma la Serenissima non poteva permettersi di perdere Grado e le sue saline.

La potente flotta veneziana sferrΓ² un contrattacco fulmineo e prese prigionieri Ulrico di Treven insieme a dodici chierici e a dodici feudatari.

Per affrancare il patriarca, Venezia impose condizioni molto particolari, un monito che avrebbe ricordato nei secoli l’umiliazione che aspettava chi avesse tentato un’azione contro la Repubblica: ogni anno, nel giorno di GiovedΓ¬ Grasso, il doge di Aquileia avrebbe consegnato ai veneziani π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™–π™£π™ž, π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™€π™§π™˜π™ž e π™ͺ𝙣 𝙩𝙀𝙧𝙀, da distribuire ai cittadini nel corso di uno spettacolo pubblico. E Ulrico, pur di riavere la sua libertΓ , accettΓ².

I π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™–π™£π™ž, che rappresentavano i π‘“π‘’π‘’π‘‘π‘Žπ‘‘π‘Žπ‘Ÿπ‘– π‘Žπ‘™π‘™π‘’π‘Žπ‘‘π‘– 𝑑𝑖 π‘ˆπ‘™π‘Ÿπ‘–π‘π‘œ, venivano distribuiti al popolo, mentre la carne dei π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™€π™§π™˜π™ž (i π‘‘π‘œπ‘‘π‘–π‘π‘– π‘β„Žπ‘–π‘’π‘Ÿπ‘–π‘π‘–) era per i senatori della Repubblica. La fine piΓΉ macabra spettava al 𝙩𝙀𝙧𝙀 (il π‘π‘Žπ‘‘π‘Ÿπ‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘Ž 𝑑𝑖 π΄π‘žπ‘’π‘–π‘™π‘’π‘–π‘Ž), che veniva decapitato durante una cerimonia altamente simbolica allestita in Piazza San Marco. Una vera festa popolare per uno dei giorni piΓΉ importanti del Carnevale.

Il patriarcato di Aquileia ottemperΓ² all’umiliante accordo per molti secoli. E β€œπ‘‘π‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘’ π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘ π‘‘π‘Ž π‘Žπ‘™ π‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘œβ€ restΓ² per altrettanto tempo una delle maggiori feste del Carnevale veneziano, anche se pian piano l’evento perse i suoi caratteri piΓΉ cruenti.

Oggi, se l’emblema di Venezia resta comunque il leone alato, raffigurazione simbolica dell’evangelista San Marco, il toro Γ¨ uno dei simulacri del suo celebre carnevale. E β€œπ‘‘π‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘’ π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘ π‘‘π‘Ž π‘Žπ‘™ π‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘œβ€ rimane un augurio per chiudere in modo definitivo, insieme al carnevale, qualsiasi questione in sospeso.

L’evento del π™©π™–π™œπ™‘π™žπ™€ π™™π™šπ™‘π™‘π™– π™©π™šπ™¨π™©π™– 𝙖𝙑 𝙩𝙀𝙧𝙀 ai giorni nostri durante il Carnevale di Venezia.

π™π˜Όπ™‚π™‡π™„π˜Όπ™π™€ π™‡π˜Ό π™π™€π™Žπ™π˜Ό π˜Όπ™‡ π™π™Šπ™π™Š

Il curioso modo di dire identifica una soluzione drastica, alla quale ricorriamo per liberarci del fastidio una volta per tutte e proviene dal Medioevo.

La storia da cui scaturisce il detto si ambienta a Venezia nella seconda metΓ  del XII secolo. Nel 1162 π™π™‘π™§π™žπ™˜π™€ π™™π™ž π™π™§π™šπ™«π™šπ™£, patriarca di Aquileia, decise di prendere possesso la cittΓ  di Grado, che il doge veneziano π™€π™£π™§π™žπ™˜π™€ π˜Ώπ™–π™£π™™π™€π™‘π™€ governava per la Serenissima.

Ulrico, esponente di una nobile famiglia bavarese, aveva ottenuto l’investitura solo un anno prima grazie a π™π™šπ™™π™šπ™§π™žπ™˜π™€ π˜½π™–π™§π™—π™–π™§π™€π™¨π™¨π™–, che in cambio pretese da lui l’appoggio allβ€™π™–π™£π™©π™žπ™₯𝙖π™₯𝙖 π™‘π™žπ™©π™©π™€π™§π™š 𝙄𝙑. Il patriarca tedesco era quindi sensibile alle esigenze del Sacro Romano Impero e il suo interesse per la cittΓ  di Grado era dovuto alle fiorenti saline che, insieme a quelle di Chioggia, Pirano e Ravenna, costituivano invece una fonte di reddito primaria per l’economia della Repubblica di Venezia e un valido antagonista al commercio del sale dello Stato Pontificio, che con le produzioni di Comacchio e Cervia riforniva tutto l’entroterra padano attraverso il corso del Po.

L’attacco del vescovo di Aquileia costrinse alla fuga Enrico Dandolo, che riparΓ² a Venezia sotto la protezione del π™™π™€π™œπ™š π™‘π™žπ™©π™–π™‘π™š 𝙄𝙄 π™ˆπ™žπ™˜π™π™žπ™šπ™‘, ma la Serenissima non poteva permettersi di perdere Grado e le sue saline.

La potente flotta veneziana sferrΓ² un contrattacco fulmineo e prese prigionieri Ulrico di Treven insieme a dodici chierici e a dodici feudatari.

Per affrancare il patriarca, Venezia impose condizioni molto particolari, un monito che avrebbe ricordato nei secoli l’umiliazione che aspettava chi avesse tentato un’azione contro la Repubblica: ogni anno, nel giorno di GiovedΓ¬ Grasso, il doge di Aquileia avrebbe consegnato ai veneziani π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™–π™£π™ž, π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™€π™§π™˜π™ž e π™ͺ𝙣 𝙩𝙀𝙧𝙀, da distribuire ai cittadini nel corso di uno spettacolo pubblico. E Ulrico, pur di riavere la sua libertΓ , accettΓ².

I π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™–π™£π™ž, che rappresentavano i π‘“π‘’π‘’π‘‘π‘Žπ‘‘π‘Žπ‘Ÿπ‘– π‘Žπ‘™π‘™π‘’π‘Žπ‘‘π‘– 𝑑𝑖 π‘ˆπ‘™π‘Ÿπ‘–π‘π‘œ, venivano distribuiti al popolo, mentre la carne dei π™™π™€π™™π™žπ™˜π™ž π™₯π™€π™§π™˜π™ž (i π‘‘π‘œπ‘‘π‘–π‘π‘– π‘β„Žπ‘–π‘’π‘Ÿπ‘–π‘π‘–) era per i senatori della Repubblica. La fine piΓΉ macabra spettava al 𝙩𝙀𝙧𝙀 (il π‘π‘Žπ‘‘π‘Ÿπ‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘π‘Ž 𝑑𝑖 π΄π‘žπ‘’π‘–π‘™π‘’π‘–π‘Ž), che veniva decapitato durante una cerimonia altamente simbolica allestita in Piazza San Marco. Una vera festa popolare per uno dei giorni piΓΉ importanti del Carnevale.

Il patriarcato di Aquileia ottemperΓ² all’umiliante accordo per molti secoli. E β€œπ‘‘π‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘’ π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘ π‘‘π‘Ž π‘Žπ‘™ π‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘œβ€ restΓ² per altrettanto tempo una delle maggiori feste del Carnevale veneziano, anche se pian piano l’evento perse i suoi caratteri piΓΉ cruenti.

Oggi, se l’emblema di Venezia resta comunque il leone alato, raffigurazione simbolica dell’evangelista San Marco, il toro Γ¨ uno dei simulacri del suo celebre carnevale. E β€œπ‘‘π‘Žπ‘”π‘™π‘–π‘Žπ‘Ÿπ‘’ π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘ π‘‘π‘Ž π‘Žπ‘™ π‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘œβ€ rimane un augurio per chiudere in modo definitivo, insieme al carnevale, qualsiasi questione in sospeso.

L’evento del π™©π™–π™œπ™‘π™žπ™€ π™™π™šπ™‘π™‘π™– π™©π™šπ™¨π™©π™– 𝙖𝙑 𝙩𝙀𝙧𝙀 ai giorni nostri durante il Carnevale di Venezia.

Nella raffigurazione una rappresentazione di tori in una miniatura del Salterio della Regina Maria (1310-1320), British Library

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EDIT

In una precedente edizione del post avevamo inserito la seguente didascalia di un’immagine che troverete nei commenti.

– Nella raffigurazione una rappresentazione di una caccia al toro in una miniatura del Bestiario di Ashmole (1200–1225 ca.). Oxford, Bodleian Library. –

La didascalia Γ¨ errata in quanto l’animale non Γ¨ un toro, ma un bonaco, bestia leggendaria simile al toro dalle inconfondibili scie di escrementi corrosivi che bruciano tutto ciΓ² che toccano.

Sul bonaco avevamo dedicato un post.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=410795874497989&id=100067027393736

Grazie Linda Rossini

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