Siamo nella Firenze del XIII secolo. La cittΓ Γ¨ in piena crescita: nonostante le terribili lotte interne tra Guelfi e Ghibellini la cittΓ Γ¨ riuscita a trovare una maggioranza di governo stabile basata su una classe, quella dei grandi Mercanti del Popolo.
Non sono nobili, ma sono molto ricchi e producono lavoro e ricchezza: commercianti e banchieri, piccoli e grandi artigiani; hanno accesso al potere attraverso le πΎπ€π§π₯π€π§ππ―ππ€π£π di lavoratori cittadine, le βArtiβ.
Ai tempi delle πΎπ€π§π₯π€π§ππ―ππ€π£π, i mercanti del cambio svolgevano due attivitΓ : il π₯π§ππ¨π©π€ e lo π¨πππ’πππ€.
Nell’ππ©π©ππ«ππ©π’ ππ π₯π§ππ¨π©π€ si concedevano prestiti in denaro che dovevano essere restituiti entro un tempo ben preciso e con interessi precedentemente concordati.
La famiglia degli ππ©π§π€π―π―π divenne tristemente nota per gli elevati interessi che imponeva ai suoi creditori: pare addirittura che, proprio dalla cupidigia di questa casata, ebbe origine il termine π π‘πππ§π§πππ, ancora oggi utilizzato come sinonimo di usuraio.
Lβππ©π©ππ«ππ©π’ ππ πππ’πππ€, invece, consisteva proprio nel cambiare le monete importate con quella fiorentina, ovvero il πππ€π§ππ£π€. Per compiere correttamente questa operazione i mercanti erano soliti battere le monete sopra un tavolo di marmo per poterne sentire il suono e valutarne cosΓ¬ lβeffettivo valore.
Non Γ¨ un caso che questo tavolo prendesse proprio il nome di πππ£ππ€, da cui poi Γ¨ derivata la parola πππ£ππ, successivamente adottata nelle maggiori lingue del mondo (si pensi al termine πππ£π¦πͺπ in francese o πππ£π in inglese).
San Giovanni Battista Γ¨ ritratto non solo come protettore di Firenze, ma anche e soprattutto π ππππππ§ππ dellβautenticitΓ della moneta.
Anche i πππ‘π¨ππ§π, dunque, devono stare attenti: βπππ πΊπππ£ππππ π’π π£πππ πππππππβ, recita un antico detto fiorentino ancora oggi popolarissimo. La punizione per i falsari era spesso la pena di morte.
Il falsario piΓΉ famoso del periodo trecentesco fiorentino Γ¨ stato πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€. Un personaggio reso famoso da πΏππ£π©π πΌπ‘ππππππ§π nel πΆπππ‘π πππ dellβInferno della Divina Commedia.
πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ Γ¨ collocato da Dante nella decima bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i falsari in generale e particolarmente i falsari di moneta, mentre si lamenta della sete incessante che lo tormenta affetto dall’idropisia che gli deforma il corpo gonfiandogli la pancia a dismisura.
Le notizie su πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ sono poche. A volte viene citato come originario di Brescia, in realtΓ sembra che sia inglese, stabilitosi in Italia, prima a Brescia, poi a Bologna, dove si sarebbe fermato, secondo alcuni storici, per motivi di studio. Il titolo di mastro era utilizzato sia in ambito accademico sia nelle professioni, per indicare un esperto di una determinata arte, tessile o orafa, ad esempio.
Gli π―πππππππ§π, come i podestΓ e i capitani di ventura, stipulavano un contratto con il comune che li ingaggiava, insieme ad un certo numero di collaboratori. La loro permanenza in un determinato luogo dipendeva da motivi di natura diversa: onestΓ , affidabilitΓ , capacitΓ tecniche. Le π―πππππ medievali lavoravano per conto terzi: il Comune fissava peso, lega e diametro delle proprie monete, affidando lβofficina monetale ad un professionista e al suo staff. I privati si presentavano con proprie quantitΓ di oro o di argento (monete estere, gioielli, pepite, rottami), per trasformarle in denaro sonante, nella quantitΓ necessaria alle loro esigenze.
Il guadagno consisteva nel diritto di signoraggio che il Comune riscuoteva dagli utenti e divideva con il mastro della zecca. Le autoritΓ comunali vigilavano sulla bontΓ delle loro monete, dato che i falsari piΓΉ pericolosi si annidavano proprio fra gli addetti alla battitura delle monete: bastava togliere una minima quantitΓ di metallo nobile, sostituirla con quello vile, tenendo la differenza. La pena per i falsari era la morte.
Cβera chi ne approfittava: erano quei signori feudali che godevano del diritto di battere moneta concesso in passato da qualche sacro romano imperatore. I piΓΉ non erano in condizioni di coniare grandi quantitΓ di pezzi dβoro e dβargento perΓ² si prestavano, in combutta con zecchieri disonesti, alla falsificazione delle monete piΓΉ richieste dal mercato, protetti dalla immunitΓ politica.
I conti di Romena, i ghibellini ππͺπππ, convinsero πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ a battere moneta falsa: il fiorino era richiesto da tutti e tutti lo accettavano senza remore, bastava diminuire la bontΓ della lega e, con la complicitΓ di qualche cambiavalute, il gioco era fatto.
Il falsario toglieva tre dei ventiquattro carati d’oro sostituendoli con π’π€π£πππππ cioΓ¨ immondizia, metalli non nobili.
Così ci sarebbe stata a disposizione una maggiore quantità di fiorini da spendere soprattutto lontano da territorio di Firenze.
Non Γ¨ chiaro quando πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ approdΓ² a Romena, nel 1277 figura fra i ππππππππππ (dipendenti) dei conti Guidi e non Γ¨ chiaro quando avvenne la falsificazione, il periodo si puΓ² desumere dalla data della scoperta del colpevole: 1281.
In questo anno, come afferma la πΆππππππ di πππ€π‘ππ£π€ ππ ππππ§π€, a causa di un incendio scoppiato nella casa della famiglia Anchioni, a Borgo San Lorenzo, nel territorio di Firenze, si scoprirono molti fiorini falsi e fu catturato il loro possessore, appunto πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ da Brescia, accusato di spacciare tale moneta.
Γ strano che proprio lβartefice delle falsificazioni fosse a Firenze con una quantitΓ di tali fiorini. πππ¨π©π§π€ πΌπππ’π€ confessΓ² il suo reato e fu condannato a morte e bruciato vivo dalla Signoria fiorentina.
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Dante Alighieri
[ππ£πππ§π£π€ – πΆπππ‘π πππ. vv. 58-69]